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La casa Sirene accese, mezza luna rossa, ambulanze in fila, preghiere di tregua, una corsa sfrenata tra le macerie per strappare al nulla un respiro. Quindici, con tute arancioni riflettenti con flebo, barelle e pietà, scendevano dai mezzi non per aggredire, ma per soccorrere. Spari, un lampo, poi il buio marchiato a fuoco, dai proiettili traccianti, come un bovino al macello. Un telefono ha visto, ha registrato ogni battito, ogni ordine in ebraico, ogni colpo a distanza ravvicinata. «Avanzavano in modo sospetto», ha detto chi ha premuto il grilletto. Ma il video sconfessa, è il testimone elettronico, neutrale che grida verità e gemiti agonizzanti. Adesso sono tutti quindici assieme dentro la loro casa: una fossa comune, come se non fossero stati medici ma devastatori ruvidi, ciechi. Invece erano cura, erano carezza. Il video scheggia la menzogna. In quel confine sottilissimo tra restare vivi o entrare in una fossa comune, resta la poesia: che non può consolare, può soltanto gridare con la lingua dei morti. Gaza Aprile 2025
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