Siete poveri (e il tragico è che non ne avete coscienza – anzi, adorate chi ve lo ricorda)29/5/2025 Siete poveri (e il tragico è che non ne avete coscienza – anzi, adorate chi ve lo ricorda)
Tutti i mali del mondo? Fandonie da poveri. I cani in aereo, i bambini nei ristoranti, le file per una risonanza magnetica? Scompaiono come incubi del proletariato nel momento in cui puoi comprarti un aereo, un ristorante, o meglio ancora un sistema sanitario privato che ti diagnostica persino l’anima. Il resto è rumore, anzi: rumore servile. Perché voi, piccoli borghesi travestiti da benestanti, non solo siete poveri. Siete anche devoti. Venerate i ricchi come divinità ineffabili. Li adorate in silenzio, li applaudite quando vi calpestano, li invitate ai vostri matrimoni per benedire con un selfie la vostra miseria vestita da occasione. Avete scambiato la ricchezza con l’attenzione, e credete che essere riconosciuti dal maître o da un algoritmo equivalga all’ascesa sociale. Ma no: quello che avete è solo povertà cosmetica, corretta con fondotinta e parole anglofile. La verità, nuda e feroce, è che siete poveri. Lo siete ogni volta che litigate per un posto in treno, che sbuffate per il pianto di un bambino o che compilate moduli per ottenere un’ecografia “clinicamente necessaria”. Se foste ricchi davvero, quelle situazioni non vi sfiorerebbero neppure. Non esistono nei vostri sogni, perché nei sogni vi vedete in jet privato, ma nella realtà restate in coda a lamentarvi di chi ha il volume troppo alto sul regionale veloce. E mentre vivete questa frustrazione perpetua, coltivate una patologia più grave della miseria stessa: il servilismo. Votate i ricchi, anche quando si candidano per rovinarvi. Li pagate per fare da testimo-nial alla vostra festa di laurea. Applaudite mentre vi rubano il futuro: ma sono in giacca su misura, quindi li amate. Freud avrebbe parlato di “identificazione con l’aggressore”; oggi si chiama entusia-smo per i propri carnefici, con tanto di voto e standing ovation. Siete poveri anche nella morte, perché lo Stato – che non è mai stato vostro padre ma al massimo un patrigno asociale – vi accompagna verso l’uscita con dignitosa lentezza, facendovi aspettare il tumo-re come fosse un pacco Amazon in ritardo. Nel frattempo, i veri ricchi fanno la risonanza domestica, con radiologi silenziosi e infermiere senza sindacato. Ma il capolavoro assoluto lo date sul mercato del lavoro: non solo vi sfruttano, ma gliene siete grati. Offrite competenze, tempo, sogni, persino il vostro talento creativo… in cambio di pacche sulle spal-le e “opportunità di visibilità”. Donate il vostro lavoro ai ricchi, e vi fate pure belli nel curriculum: "ho collaborato con…" (loro, sempre loro). Offrite il vostro tempo libero in nome della “passione”, e vi fate pagare in buoni pasto o applausi digitali. Siete diventati il sogno erotico del capitalismo: lavo-ratori obbedienti, autodidatti del sacrificio, che non solo si accontentano, ma si autocelebrano per farlo. Siete poveri perfino nel narcisismo: postate i prodotti omaggio come se fossero riconoscimenti, vi fa-te pagare in visibilità per esibire la vostra intimità sbiadita, confondete la celebrità con la libertà. È la miseria che si specchia nella vetrina, e si applaude da sola. Perché, diciamolo, il vostro più grande sogno non è essere liberi: è essere invitati. Invitati al tavolo dei ricchi. Anche solo per una sera, anche solo come camerieri. Desiderate ardentemente la loro pre-senza come si desiderava un’apparizione mariana. Loro no. Loro non vi vedono. Nietzsche avrebbe alzato un sopracciglio e pronunciato una delle sue sentenze letali: “Il popolo ama le catene dorate, purché siano visibili.” E voi ve le tatuate, vi ci fate i selfie, ci scrivete “blessed”. I ricchi veri, invece, non sono su Instagram. Non si fanno taggare, non hanno bisogno del vostro li-ke. Vi evitano con la stessa cura con cui si evitano le infezioni nei reparti sterili. Non perché siano crudeli, ma perché siete rumorosi. Come le zanzare: succhiate attenzione e fate chiasso. E peggio an-cora, li amate mentre vi ignorano. Quando parlate di rider e di mancia etica, dimostrate tutto: se foste ricchi, non parlereste. Mandere-ste qualcuno a risolvere. Ma voi non potete. Allora servite, discutete, moralizzate. Vi aggrappate a un’etica da discount, a un senso di giustizia che serve solo a coprire il vuoto di non essere mai stati invitati al banchetto. Karl Kraus lo aveva già detto: “Il lusso separa gli uomini meno del cattivo gusto.” E il vostro cattivo gusto è un altare: ci sacrificate tempo, identità, denaro. E, cosa peggiore, il pensie-ro critico. Perché guai a parlare male dei ricchi. I ricchi vi piacciono. Li volete vicini. Li eleggete, li venerereste in chiesa, li vorreste come testimoni di nozze. Che dico? Come padrini di battesimo dei vostri sogni infranti. Siete poveri. E lo restate perché siete affezionati alla vostra povertà. La travestite, la lucidate, la ren-dete fotogenica. Postate la spesa bio, il prosecco in offerta, la “staycation”, vacanza a km zero, in un B&B con idromassaggio rumoroso, convinti che l’inquadratura possa sconfiggere la fine. Ma la Morte – che non ha profilo social – vi conosce. E vi aspetta. Non nell’area VIP. Ma in fondo alla sala, accanto al bagno guasto. Dove il conto si paga con tutto: la faccia, il fegato, il curriculum di illusioni. Siate sereni, però. Un like alla volta, una promozione temporanea, una crema antietà, e potrete anche fingere di perdo-narvi: per non essere mai stati ricchi, ma solo poveri con l’ossessione di farsi notare. Un giorno, giuro, arriverà anche voi l’aragosta notturna. Ma sarà surgelata. E ve la porterà un rider in ritardo, fradicio di pioggia e carico di disprezzo. Voi, intanto, lo ringrazierete. Con una recensione a cinque stelle. Perché siete poveri. Ma servili fino all’ultimo boccone.
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AutoreRoby Ferrari Archivi
Giugno 2025
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