Donald Trump la chiama “una soluzione positiva per Gaza”. Israele la chiama “fase operativa”. Insieme costruiscono una nuova Nakba. Mentre i carri armati dell’operazione “Carri di Gedeone” avanzano nella Striscia, radendo al suolo ciò che resta di Rafah, il presidente Usa tornato alla Casa Bianca lavora a un piano di deportazione di massa: un milione di palestinesi da trasferire in Libia.
Secondo la Nbc News, in cambio dell’accoglienza forzata, Trump sarebbe pronto a sbloccare miliardi di dollari dei fondi libici congelati da Washington. È un baratto tra esilio e denaro. Nessun governo libico ha confermato. Nessuna autorità palestinese è stata consultata. Nessun trattato internazionale lo giustifica. La terza fase della guerra israeliana – dopo lo sterminio e lo sfollamento – è già in corso: la distruzione sistematica delle città per impedire qualsiasi ritorno. Israele ha già cancellato oltre 60mila edifici. Gaza è ridotta al 31% del suo patrimonio abitativo. E Trump, intanto, promette “buone notizie per giugno”. Ma non basta. Per spostare un milione di persone servirebbero 1.173 voli su Airbus A380, o migliaia di viaggi via mare e terra. A Gaza non c’è un aeroporto. E l’Egitto, che dovrebbe concedere il transito, tace. Anche la Libia – divisa, instabile, ostile – respinge l’ipotesi. L’intero mondo arabo, al vertice di Baghdad, ha ribadito il rifiuto di qualsiasi piano di espulsione. Trump non cerca soluzioni, cerca territori da vendere. Gli sfollati non sono più civili: sono numeri da dislocare. E Gaza diventa uno spazio vuoto da riassegnare. Così, mentre Netanyahu devasta, Trump negozia. Con chi? Per cosa? Non importa. Importa solo che, anche stavolta, il mondo guardi altrove. In silenzio.
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AutoreRoby Ferrari Archivi
Giugno 2025
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