I luoghi dell’incertezza e le emozioni della libertà
Ho camminato nei corridoi interminabili dell’incertezza,
dove l’angoscia rimbomba come un mantra sfracellato,
ho respirato il buio e trovato la bellezza
nelle crepe del soffitto,
nei muri scrostati che borbottavano storie di nessuno.
Ho visto il dubbio convertirsi in suono,
domande arrampicarsi sulle pareti
come edera incolta,
e nel riposo sporco, nel marciume dell’anima,
ho trovato il fiore che cresce
dove nessuno guarda.
Ho incontrato l’ombra dell’orrore,
le ho chiesto il nome,
mi ha risposto con un bacio nero
sulle palpebre sfibrate,
mi ha detto:
“Resta qui, c’è bellezza anche nel vuoto.”
Ho creduto a quel buio,
perché nelle sue viscere ho trovato
l’incubatrice del chiarore.
Le stanze si aprivano su altre stanze,
labirinti di anime snervate,
di voci che salmodiavano la libertà
come un cantico storto,
parole spezzettate,
versi gridati alle finestre chiuse.
Ho visto mostri nei letti disfatti,
li ho invitati a ballare,
e loro hanno volteggiato con me
al ritmo del caos e della malinconia.
Fuori, la libertà era un orizzonte sopraffatto,
un cielo imbrattato di pioggia e polvere,
ma anche lì c’era una promessa,
il profumo di qualcosa che non è mai esistito,
ma che potrebbe abitare, forse, nelle nostre menti.
Ho sfrecciato verso il futuro come un pazzo,
ho gridato alle cicatrici: “Parlate!”
Loro hanno risposto:
“Non siamo ferite, siamo mappe,
strade per un posto che ancora non hai visto.”
Nei luoghi dell’incertezza
ho riesumato il riflesso della mia anima,
sghemba, sporca, meravigliosa.
Nel dolore ho visto i segni
di un mondo che respira,
che si rompe,
ma non smette di muoversi.
Gennaio 2025
dove l’angoscia rimbomba come un mantra sfracellato,
ho respirato il buio e trovato la bellezza
nelle crepe del soffitto,
nei muri scrostati che borbottavano storie di nessuno.
Ho visto il dubbio convertirsi in suono,
domande arrampicarsi sulle pareti
come edera incolta,
e nel riposo sporco, nel marciume dell’anima,
ho trovato il fiore che cresce
dove nessuno guarda.
Ho incontrato l’ombra dell’orrore,
le ho chiesto il nome,
mi ha risposto con un bacio nero
sulle palpebre sfibrate,
mi ha detto:
“Resta qui, c’è bellezza anche nel vuoto.”
Ho creduto a quel buio,
perché nelle sue viscere ho trovato
l’incubatrice del chiarore.
Le stanze si aprivano su altre stanze,
labirinti di anime snervate,
di voci che salmodiavano la libertà
come un cantico storto,
parole spezzettate,
versi gridati alle finestre chiuse.
Ho visto mostri nei letti disfatti,
li ho invitati a ballare,
e loro hanno volteggiato con me
al ritmo del caos e della malinconia.
Fuori, la libertà era un orizzonte sopraffatto,
un cielo imbrattato di pioggia e polvere,
ma anche lì c’era una promessa,
il profumo di qualcosa che non è mai esistito,
ma che potrebbe abitare, forse, nelle nostre menti.
Ho sfrecciato verso il futuro come un pazzo,
ho gridato alle cicatrici: “Parlate!”
Loro hanno risposto:
“Non siamo ferite, siamo mappe,
strade per un posto che ancora non hai visto.”
Nei luoghi dell’incertezza
ho riesumato il riflesso della mia anima,
sghemba, sporca, meravigliosa.
Nel dolore ho visto i segni
di un mondo che respira,
che si rompe,
ma non smette di muoversi.
Gennaio 2025