LA MORTE DEL SACRO, COMMENTO ALL'INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA DI SIMONE ARTICO AL PAB DI PORTOGRUARO (VE)
di Roberto Ferrari
Dio è morto. Con questa famosa affermazione, Nietzsche ci comunica che la concezione tradizionale di Dio, come fonte di significato e di morale, è obsoleta e che l'uomo deve trovare nuovi valori e significati per la sua esistenza.
La conseguenza diretta della morte di Dio, è la morte del sacro.
Siamo orfani, dunque, del senso che un Dio poteva concedere, tuttavia siamo ancora qui, vivi, a confrontarci con il mondo.
La dimensione mistica, ovvero quello che tenta di descrivere il carattere di ciò che è al di là di un limite, soprattutto al di là delle facoltà conoscitive dell'uomo è una delle tante radici della religione, la quale è stata inventata per rispondere alle grandi domande sulla vita, sulla morte e sul significato dell'esistenza umana.
Ha anche fornito un sistema di valori e di regole per guidare le persone nella loro vita quotidiana e per creare un senso di comunità e di appartenenza.
La religione, entrata in profonda crisi a causa della mortalità accertata di Dio, è stata sostituita, in parte, dall’arte. Non parlo dell’intrattenimento a cui siamo brutalmente asserviti dal mercato.
L’arte (poesia, letteratura, arti visive, musica, teatro, cinema, fotografia, danza, architettura) ha generato un nuovo bisogno di ricerca di senso del nostro strano mondo e ha aperto le menti (non tutte le menti) alla scoperta continua di orizzonti di significato. Le opere di Simone Artico ne sono un esempio.
Il mondo sposta continuamente i suoi significati. L’accelerazione dell’evoluzione tecnologica non utilizza i tempi dell’Homo sapiens sapiens, rimasto ancora legato ai ritmi dei cacciatori-raccoglitori al massimo degli agricoltori, con tutte le conseguenze psicologiche del caso.
La scienza, probabilmente, sta diventando una nuova religione, la cui fede non si appoggia su dogmi incrollabili, ma procede di passo in passo verso una possibile verità, accettando di modificare le proprie opinioni sulle verità precedenti.
Dal punto di vista della selezione naturale darwiniana, la scienza, adattandosi di continuo alle nuove scoperte, sopravviverà perché sa adattarsi all'ambiente.
Seguendo questo filo logico, è possibile affermare che gli organismi che presentano caratteri sfavorevoli verranno eliminati.
Parlo delle menti vittime dell'effetto Dunning-Kruger (EDK): una distorsione cognitiva nella quale individui, per niente esperti e per nulla competenti in un campo, tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media.
Il sacro della ricerca umana, attraverso l’arte, quindi, si ripresenta alla ribalta per aiutarci a dare un significato alla vita, ancora.
Proviamo adesso a rovesciare il titolo della mostra di Simone: dalla “morte del sacro” al “sacro della morte”.
L’Homo sapiens sapiens è una specie in cui i singoli individui hanno la capacità di riprodursi e di trasmettere i propri geni alla generazione successiva, per poi morire. Come quasi tutte le specie viventi sul Pianeta.
Al contrario, la specie di meduse cnidàri Turritòpsis dòhrnii è in grado di invertire il proprio ciclo di vita, tornando alla fase polipo dopo essere stata una medusa adulta, e quindi di ricominciare la vita da capo. Questo processo può avvenire infinite volte, rendendo la cnidàri Turritòpsis dòhrnii biologicamente immortale.
Non così per l’uomo.
L’attività di ogni individuo umano è assolutamente determinante per la specie: basti pensare al forte senso di appartenenza sociale, all’inclinazione verso la vita in gruppi sociali, come la famiglia, la tribù, la nazione e la comunità globale, che ha permesso di formare culture e di condividere risorse e competenze.
Nell’uomo la contraddizione è evidente, anche se quasi sempre ben gestita dai singoli e, concedendomi di forzare un po’ il concetto, potrei dire che l’individuo sacrifica la sua vita per la prosecuzione della vita della specie a cui appartiene.
La morte dell'individuo assume, sotto questa visione, un alone di sacro perché la singola esistenza è dedicata alla specie e il trapasso permette, pertanto, la prosecuzione della vita.
Le prefiche che Simone ha dipinto e che ci accolgono all’ingresso del PAB, piangono e ricordano la vita dell'individuo, di ogni individuo.
Le prèfiche, nel mondo antico, era donne pagate per piangere ai funerali.
Sono documentate fin dall'Antico Egitto. Nell'antica Roma, durante il corteo funebre, precedevano il feretro stando dietro i portatori di fiaccola: con i capelli sciolti in segno di lutto cantavano lamenti funebri e innalzavano lodi al morto, accompagnate da strumenti musicali, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli.
In ultima analisi, la morte dell'individuo è sacra perché è necessaria per la sopravvivenza della specie Homo sapiens sapiens, lo sapevano anche i nostri antenati.
Ci sono prove archeologiche che suggeriscono che la pratica di seppellire i morti sia iniziata almeno 100.000 anni fa, durante il Paleolitico medio.
I primi esempi di pratiche funerarie di Homo sapiens sapiens includono l'inumazione dei morti in posizione supina, spesso accompagnati da oggetti funerari come strumenti di pietra, conchiglie o altri ornamenti. Questi reperti suggeriscono che già in quest'epoca i nostri antenati umani avessero una consapevolezza dell'importanza di commemorare i propri morti.
Simone, per commentare la sua mostra, ha scelto un brano tratto dal film "Medea" di Pier Paolo Pasolini, uscito nel 1969. Una trasposizione cinematografica dell'omonima tragedia di Euripide, che narra la storia della maga Medea, abbandonata dal marito Giasone per sposare la principessa di Corinto.
Il film di Pasolini è noto per la sua regia innovativa e per la performance straordinaria dell'attrice Maria Callas nel ruolo di Medea. Alcune scene del film sono state girate nella laguna di Grado, nel casone di Mota Safòn.
Il "sacro della morte" è un tema ricorrente nella poetica e nella riflessione di Pier Paolo Pasolini. Per lui, la morte non è solo la fine della vita fisica, ma un'esperienza spirituale che può portare alla rinascita e alla trasformazione. In particolare, Pasolini considerava la morte come un'esperienza rivoluzionaria, in grado di abbattere le gerarchie sociali e le convenzioni culturali, e di rivelare la vera natura dell'uomo e della società.
La morte, per Pasolini, era quindi un tema centrale della sua visione del mondo, che cercava di scuotere le coscienze e di rompere le catene dell'oppressione e dell'ignoranza.
Prima ancora delle distinzioni tra fede e scienza, credenti e non credenti, abbiamo acclarato che esiste la dimensione del "sacro", che rappresenta la fonte di aspirazioni e tendenze umane verso il bello, il buono, l'amore, la solidarietà, la giustizia e la consapevolezza del mistero della vita.
Il sacro non fornisce risposte, ma piuttosto domande e ci regala l'energia per andare alla ricerca di risposte.
Per Pasolini, il sacro rappresentava una doppia sfida: da un lato osservare "le cose divine" con la loro ambiguità, ma anche smascherare il consumismo e il potere dell'economia e della tecnologia, che non hanno altro scopo che la propria crescita infinita.
Dall'altro lato, il suo impegno era quello di preservare il "senso" del sacro attraverso la dissacrazione degli idoli sostitutivi.
Le opere di Simone Artico sono intrise di colori brillanti, vivaci e surreali.
L'uso audace di Simone del colore, contribuisce a creare un senso di magia e di sogno nei suoi dipinti, dando vita a personaggi fantastici e a paesaggi surreali.
Colori spesso usati in modo non convenzionale, come ad esempio l'uso di tonalità particolari per la figura umana o l'uso di colori vivaci per rappresentare l'emozione o lo stato d'animo dei personaggi.
I colori di Simone sono un elemento chiave della sua arte, contribuiscono a creare opere d'arte iconiche e indimenticabili.
I suoi colori ci accompagnano, genuinamente, verso il bello, il buono, l’amore, la solidarietà, la giustizia e ci avvolgono, a pennellate istintive e potenti, nel mistero, del quale riconosciamo non solo l’esistenza, ma anche la necessità.
Grazie Simone!
di Roberto Ferrari
Dio è morto. Con questa famosa affermazione, Nietzsche ci comunica che la concezione tradizionale di Dio, come fonte di significato e di morale, è obsoleta e che l'uomo deve trovare nuovi valori e significati per la sua esistenza.
La conseguenza diretta della morte di Dio, è la morte del sacro.
Siamo orfani, dunque, del senso che un Dio poteva concedere, tuttavia siamo ancora qui, vivi, a confrontarci con il mondo.
La dimensione mistica, ovvero quello che tenta di descrivere il carattere di ciò che è al di là di un limite, soprattutto al di là delle facoltà conoscitive dell'uomo è una delle tante radici della religione, la quale è stata inventata per rispondere alle grandi domande sulla vita, sulla morte e sul significato dell'esistenza umana.
Ha anche fornito un sistema di valori e di regole per guidare le persone nella loro vita quotidiana e per creare un senso di comunità e di appartenenza.
La religione, entrata in profonda crisi a causa della mortalità accertata di Dio, è stata sostituita, in parte, dall’arte. Non parlo dell’intrattenimento a cui siamo brutalmente asserviti dal mercato.
L’arte (poesia, letteratura, arti visive, musica, teatro, cinema, fotografia, danza, architettura) ha generato un nuovo bisogno di ricerca di senso del nostro strano mondo e ha aperto le menti (non tutte le menti) alla scoperta continua di orizzonti di significato. Le opere di Simone Artico ne sono un esempio.
Il mondo sposta continuamente i suoi significati. L’accelerazione dell’evoluzione tecnologica non utilizza i tempi dell’Homo sapiens sapiens, rimasto ancora legato ai ritmi dei cacciatori-raccoglitori al massimo degli agricoltori, con tutte le conseguenze psicologiche del caso.
La scienza, probabilmente, sta diventando una nuova religione, la cui fede non si appoggia su dogmi incrollabili, ma procede di passo in passo verso una possibile verità, accettando di modificare le proprie opinioni sulle verità precedenti.
Dal punto di vista della selezione naturale darwiniana, la scienza, adattandosi di continuo alle nuove scoperte, sopravviverà perché sa adattarsi all'ambiente.
Seguendo questo filo logico, è possibile affermare che gli organismi che presentano caratteri sfavorevoli verranno eliminati.
Parlo delle menti vittime dell'effetto Dunning-Kruger (EDK): una distorsione cognitiva nella quale individui, per niente esperti e per nulla competenti in un campo, tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media.
Il sacro della ricerca umana, attraverso l’arte, quindi, si ripresenta alla ribalta per aiutarci a dare un significato alla vita, ancora.
Proviamo adesso a rovesciare il titolo della mostra di Simone: dalla “morte del sacro” al “sacro della morte”.
L’Homo sapiens sapiens è una specie in cui i singoli individui hanno la capacità di riprodursi e di trasmettere i propri geni alla generazione successiva, per poi morire. Come quasi tutte le specie viventi sul Pianeta.
Al contrario, la specie di meduse cnidàri Turritòpsis dòhrnii è in grado di invertire il proprio ciclo di vita, tornando alla fase polipo dopo essere stata una medusa adulta, e quindi di ricominciare la vita da capo. Questo processo può avvenire infinite volte, rendendo la cnidàri Turritòpsis dòhrnii biologicamente immortale.
Non così per l’uomo.
L’attività di ogni individuo umano è assolutamente determinante per la specie: basti pensare al forte senso di appartenenza sociale, all’inclinazione verso la vita in gruppi sociali, come la famiglia, la tribù, la nazione e la comunità globale, che ha permesso di formare culture e di condividere risorse e competenze.
Nell’uomo la contraddizione è evidente, anche se quasi sempre ben gestita dai singoli e, concedendomi di forzare un po’ il concetto, potrei dire che l’individuo sacrifica la sua vita per la prosecuzione della vita della specie a cui appartiene.
La morte dell'individuo assume, sotto questa visione, un alone di sacro perché la singola esistenza è dedicata alla specie e il trapasso permette, pertanto, la prosecuzione della vita.
Le prefiche che Simone ha dipinto e che ci accolgono all’ingresso del PAB, piangono e ricordano la vita dell'individuo, di ogni individuo.
Le prèfiche, nel mondo antico, era donne pagate per piangere ai funerali.
Sono documentate fin dall'Antico Egitto. Nell'antica Roma, durante il corteo funebre, precedevano il feretro stando dietro i portatori di fiaccola: con i capelli sciolti in segno di lutto cantavano lamenti funebri e innalzavano lodi al morto, accompagnate da strumenti musicali, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli.
In ultima analisi, la morte dell'individuo è sacra perché è necessaria per la sopravvivenza della specie Homo sapiens sapiens, lo sapevano anche i nostri antenati.
Ci sono prove archeologiche che suggeriscono che la pratica di seppellire i morti sia iniziata almeno 100.000 anni fa, durante il Paleolitico medio.
I primi esempi di pratiche funerarie di Homo sapiens sapiens includono l'inumazione dei morti in posizione supina, spesso accompagnati da oggetti funerari come strumenti di pietra, conchiglie o altri ornamenti. Questi reperti suggeriscono che già in quest'epoca i nostri antenati umani avessero una consapevolezza dell'importanza di commemorare i propri morti.
Simone, per commentare la sua mostra, ha scelto un brano tratto dal film "Medea" di Pier Paolo Pasolini, uscito nel 1969. Una trasposizione cinematografica dell'omonima tragedia di Euripide, che narra la storia della maga Medea, abbandonata dal marito Giasone per sposare la principessa di Corinto.
Il film di Pasolini è noto per la sua regia innovativa e per la performance straordinaria dell'attrice Maria Callas nel ruolo di Medea. Alcune scene del film sono state girate nella laguna di Grado, nel casone di Mota Safòn.
Il "sacro della morte" è un tema ricorrente nella poetica e nella riflessione di Pier Paolo Pasolini. Per lui, la morte non è solo la fine della vita fisica, ma un'esperienza spirituale che può portare alla rinascita e alla trasformazione. In particolare, Pasolini considerava la morte come un'esperienza rivoluzionaria, in grado di abbattere le gerarchie sociali e le convenzioni culturali, e di rivelare la vera natura dell'uomo e della società.
La morte, per Pasolini, era quindi un tema centrale della sua visione del mondo, che cercava di scuotere le coscienze e di rompere le catene dell'oppressione e dell'ignoranza.
Prima ancora delle distinzioni tra fede e scienza, credenti e non credenti, abbiamo acclarato che esiste la dimensione del "sacro", che rappresenta la fonte di aspirazioni e tendenze umane verso il bello, il buono, l'amore, la solidarietà, la giustizia e la consapevolezza del mistero della vita.
Il sacro non fornisce risposte, ma piuttosto domande e ci regala l'energia per andare alla ricerca di risposte.
Per Pasolini, il sacro rappresentava una doppia sfida: da un lato osservare "le cose divine" con la loro ambiguità, ma anche smascherare il consumismo e il potere dell'economia e della tecnologia, che non hanno altro scopo che la propria crescita infinita.
Dall'altro lato, il suo impegno era quello di preservare il "senso" del sacro attraverso la dissacrazione degli idoli sostitutivi.
Le opere di Simone Artico sono intrise di colori brillanti, vivaci e surreali.
L'uso audace di Simone del colore, contribuisce a creare un senso di magia e di sogno nei suoi dipinti, dando vita a personaggi fantastici e a paesaggi surreali.
Colori spesso usati in modo non convenzionale, come ad esempio l'uso di tonalità particolari per la figura umana o l'uso di colori vivaci per rappresentare l'emozione o lo stato d'animo dei personaggi.
I colori di Simone sono un elemento chiave della sua arte, contribuiscono a creare opere d'arte iconiche e indimenticabili.
I suoi colori ci accompagnano, genuinamente, verso il bello, il buono, l’amore, la solidarietà, la giustizia e ci avvolgono, a pennellate istintive e potenti, nel mistero, del quale riconosciamo non solo l’esistenza, ma anche la necessità.
Grazie Simone!