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T R E N I

Le ferrovie sono qualcosa di sorprendentemente silenzioso, quando non ci passa sopra il treno.
Haruki Murakami

Ci sono dei treni non puntuali che non sanno abituarsi ad attenersi ai loro ritardi.
Karl Kraus


t r e n i 

questo non è il mio treno,
la locomotiva non accenna 
una rapida fermata,
anche solo per spiarmi,
finge di non sapere 
che le persone spariscono
dentro i binari e tra gli alberi.
Non è il mio treno
senza freno ho proseguito
dritto allo zenith
su traversine colorate 
di miele delle api di serra.
Tunnel.





Sono io il mio treno,
ronzando e stridendo
viaggio senza sosta,
vortico senza comprendere,
addolcito alla sveltezza della freccia,
esco illeso dall’amore eterno 
delle ruote motrici
per una imprevista coincidenza,
sono la biella automotrice, 
che scava
dentro il paesaggio
recondito, palese e inventato
inconfessato verso
una qualunque destinazione.





Un treno a vapore
striscia sulla pianura,
offre il suo passeggero macchinista
al mondo,
un capro da sacrificare,
sull’altare del  ritardo puntuale 
camera a fumo di cenere d’umano
sangue e plasma 
delle medicherie di viaggio.





Scopre l’orizzonte
quel treno vi trasvola dentro
quel treno nero
come il carbone nel focolaio,
dentro un altro colore 
diventa movimento quel treno,
la linea del tramonto 
restituisce binari contorti odore, 
il passeggero ha perso la coincidenza
offre obbedienza al fanale rosso
senza nessuna ultima parola.





Lo ritrovo più tardi,
dentro lo specchio
del bagno di seconda classe,
mi guarda con occhi di tigre anziana,
la dentiera traballante
intonata all’andatura del treno,
palpa la tasca interna 
del cappotto sbrindellato,
estrae il biglietto, non obliterato
me lo mostra col sorriso
non ancora obliterato,
intonso, immacolato.





Vagone vuoto,
avevo acquistato con fiducia
quel titolo di viaggio collettivo,
nel mio scompartimento
solo la mia valigia,
sciupata, sporca e gonfia
di vuoto
bias 1del senno di poi
senza ragione, senza parola
in quel treno.





Nel caldo improvviso
della sera estiva,
di quelle che non finiscono 
con il buio parto e sento una voce
raccontare 
la mia storia ai passeggeri 
annoiati fingono di leggere giornali
smartphones laptops tablets,
schermi flessibili touchscreen.
Io solo ascolto veramente,
e non mi ritrovo
nella confusione nella fonte,
un’attribuzione erronea, 
un’amnesia della sorgente:
il disastro ferroviario ordinario,
viene scambiato per una finzione,
come il paesaggio invernale sottosopra
addobbato del sospiro della locomotiva
nero ghiacciato che grida 
il suo fischio 
sommerso nella neve
il passeggero è costruito con la sete 
gelida del sogno
interrotto dal bicchiere di vino,
che arriva puntuale.





Il treno per Gorizia aggroviglia 
la mia condizione cognitiva,
ogni anno il progresso 
della società capitalista avanza e
compone la nostra popolazione 
di passeggeri isolati,
è l'infrastruttura dell'economia, 
sono le comunicazioni elettroniche.
Gorizia mi parla ancora
con sillabe di carta nel fumo,
rapprende le mie viscere
in grumi misteriosi e chiari insieme.
Il freno d’emergenza del vagone,
grida oscenità,
io scendo dal treno 
non ancora fermo, 
non è il mio treno 
cado dalle mie scarpe elettroniche,
non so fermare il ricordo del tempo,
mi appendo 
alle maniglie esterne del vagone intercetto,
sul treno per Parigi,
la risposta naturale dei superstiti: 
costruire un muro morale 
contro ciò che sta fuori dal treno.
Qui il mondo inizia 
a essere pitturato in bianco e nero, 
santi dentro e peccatori fuori
l’aspersione dell’acqua tenta di spegnere
il fuoco della caldaia a vapore.





La nostra infrastruttura tecnologica 
La nostra infrastruttura ferroviaria
ci respinge gli uni dagli altri, 
non c'è comunità nello scompartimento, 
tutti saranno fuori tra una fermata o due.
Questo non è il mio treno, sono
alla ricerca di un treno migliore,
di un bagaglio leggero
di una quiete assoluta
senza questo odio estenuante.





Ho rubato, rubo e ruberò
borse distratte ai passeggeri 
sbadati e intenti a calcolare coincidenze
orari, orologi e biglietti,
all’interno trovo cianfrusaglie,
calzini bucati e paura 
di esistere, le dimentico 
nel treno quelle valige,
nelle mani dei prossimi viaggiatori. 





Il treno per Venezia
sorprende la zona industriale di Marghera
mentre si leva il pigiama umido della notte,
per indossare il vestito diurno
color incongruenza 
intrecciato di metallo e carburo di calcio.
Beve milioni di caffè neri fumanti,
il passeggero guardone
si stupisce dell’erotismo
delle ciminiere dei depositi chimici.
Vorrebbe scendere dal treno 
in corsa avvinghiarsi a tutta quell’estremo 
per sfinirla e sottrarla
dall’occhio del finestrino.
Il treno lo sputa fuori, davanti 
alla chiesa dei Santi Simeone e Giuda, 
vulgo San Simeon Piccolo,
entra a fare offerte a Ogou2.





La sosta è breve, quel treno
da Venezia va solo a ritroso.
Aggrappato al corrimano esterno
della locomotrice, sono quel treno,
siamo la corsa, insieme decidiamo 
senza mai consultarci,
appoggio il piede 
sulla valvola di sicurezza
con l’intento di accelerare
il superamento della pressione massima 
ammessa per la caldaia.
Il capotreno dorme 
il sonno degli ubriachi, sogna 
di volare sopra Spilimbergo,
di invertire di colpo la rotta in un momento
verso sud e verso il mare.
Io lo accontento,
sempre
a costo della vita.





La stazione senza treni
vive una vita d’attesa,
parla un suo proprio idioma,
tratteggia un microcosmo
per restituirlo sempre identico,
al passeggero,
ad ogni angolo di mondo
la stazione dei treni
parla la stessa identica lingua
scivolosa dei binari,
gracchiante degli altoparlanti,
lacerante dei portabagagli,
tamburellante dei martelli sulle rotaie,
racconta con fervore ferroviario
di sedili, cuccette e,
sussurrando, 
di tradotte di deportati
con biglietti di sola andata
mai convalidati.





La stazione d’arrivo 
spunta al crepuscolo s’intravede 
la striscia gialla della banchina,
alcuni frammenti delle pensiline,
luccichii umidi delle finestre della biglietteria
mescolati alla caligine silenziosa
sussurrano alle orecchie
una storia breve, 
che puzza d’infinito,
sale d’attesa vuote
lampioni spenti,
forse siamo in guerra.
L’unico modo per salvarsi
dai bombardamenti è
spegnere le luci.

...
da soli
adesso
quasi al buio
fino al capolinea del binario

sembra arrivi un ultimo treno                                                         

 21.12.2022 (Grazie a Giorgia Vecchies per l'aiuto nella stesura definitiva di  t r e n i )

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